Edgar Degas è universalmente riconosciuto come il “pittore delle ballerine”, un osservatore instancabile di quel mondo fatto di tulle e sudore. Tuttavia, limitare la sua figura alla sola pittura sarebbe un errore: l’artista francese fu un creativo poliedrico, affascinato dalla sperimentazione materica. Verso la seconda metà degli anni Ottanta del XIX secolo, Degas si avvicinò con decisione alla scultura, mantenendo però intatta la sua ossessione per la figura della danzatrice.

Un realismo controverso

L’apice di questa ricerca plastica è rappresentato dalla Ballerina di quattordici anni, un’opera realizzata tra il 1879 e il 1881 che scatenò feroci polemiche all’epoca della sua presentazione. L’originale, oggi custodito al Museo d’Orsay di Parigi, è una scultura in cera alta quasi un metro che colpisce per il suo crudo realismo. La giovane è ritratta in un momento di attesa, quasi di tensione nervosa: busto eretto, mani intrecciate dietro la schiena, mento alto e la gamba destra avanzata nella classica posizione di en dehors. Ciò che sconvolse il pubblico fu l’uso di materiali reali: il corpetto, il tutù e il nastro che raccoglie i capelli sono in vero tulle e raso, mentre la base lignea evoca le tavole logore dei palcoscenici o il parquet delle sale prova. Copie in bronzo di quest’opera sono oggi disseminate nei musei di tutto il mondo, a testimonianza di un’icona ormai eterna.

La tragica parabola di Marie van Goethem

Dietro quel volto scolpito si nasconde la storia vera e drammatica di Marie van Goethem. Figlia di un umile sarto e di una lavandaia alcolizzata, Marie nacque nel 1865 in uno dei quartieri più degradati di Parigi. Il suo sogno, come per molte ragazze di estrazione popolare, era l’Opéra. Nel 1878 sembrò toccare il cielo con un dito: superò l’esame di ammissione e debuttò ne La Korrigane. Fu proprio all’Opéra che incontrò Degas. L’artista, colpito dalla sua figura acerba, la convinse a posare per lui a pagamento. Marie divenne la sua musa, riconoscibile non solo nella scultura ma anche nel dipinto La lezione di danza, dove appare in primo piano mentre si gratta la schiena, un dettaglio di disarmante umanità. Tuttavia, quel rapporto segnò l’inizio della fine. Le sedute di posa distolsero Marie dalla disciplina ferrea della danza; le assenze si accumularono fino all’inevitabile espulsione dalla scuola. Il sogno di diventare un’étoile svanì e la ragazza scivolò rapidamente nella miseria, seguendo le tristi orme materne tra alcol, osterie malfamate e prostituzione, finendo persino arrestata per furto. Dopo la cancellazione del suo nome dai registri dell’Opéra, di lei si perse ogni traccia, lasciando ai posteri solo quel corpo adolescente reso immortale dall’arte.

La battaglia fisica dietro la grazia

Se la storia di Marie racconta il lato oscuro e sociale della vita di una ballerina dell’Ottocento, la sfida fisica che il balletto impone resta una costante immutabile nel tempo. Ancora oggi, dietro la facciata eterea di costumi scintillanti, si cela una lotta brutale contro i limiti della resistenza umana. Una testimonianza contemporanea ci porta dritti dietro le quinte di una produzione de Lo Schiaccianoci di Jean-Paul Comelin, rivelando cosa accade pochi istanti prima di entrare in scena. Per una giovane apprendista del Milwaukee Ballet, al suo primo ingaggio professionale, l’attesa si trasforma in una prova di sopravvivenza. Il corpetto del costume da neve stringe il torace, rendendo difficile ogni respiro, mentre il panico minaccia di consumare l’ossigeno necessario per affrontare la scena.

Gestire il limite

La coreografia del “Valzer dei fiocchi di neve”, pur durando solo sei o sette minuti, rappresenta spesso uno sforzo fisico estremo. Si tratta di una sequenza micidiale: grand allégro, salti, relevés veloci e pirouettes che finiscono a terra. Non è raro che i ballerini, anche i più preparati, avvertano nausea o perdano la sensibilità alle mani e ai piedi proprio nel momento cruciale. Osservare i colleghi più esperti prepararsi, entrare nella “zona” e sciogliere i muscoli, diventa parte dell’apprendimento tanto quanto la tecnica stessa. Quella sensazione di terrore prima di una prova generale, il dubbio di non riuscire a reggere oltre trenta repliche, è una fase di passaggio obbligata. È in quei momenti di crisi respiratoria e muscolare che si impara a gestire l’ansia della performance, trasformando la paura di cedere in una nuova consapevolezza del proprio corpo e della propria resistenza mentale.